Aprile 28, 2025

di Roberto Rizzuto

(Dublino) Harry Kane, centravanti della Nazionale inglese, ha appena sparato verso il golfo Persico il rigore del possibile pareggio contro la Francia nel quarto di finale del Mondiale qatariota.

Il Brickyard – letteralmente “cortile di mattoni”, nomen omen – un pub di periferia scavato nella pietra e dimenticato da Dio, ma non da quei dublinesi che nei suoi pressi vivono e si ritrovano, è appena esploso di gioia: i detestati cugini inglesi sono praticamente fuori dal torneo. Poco dopo, il triplice fischio dell’arbitro scolpisce la sentenza di eliminazione dei Tre Leoni sulla roccia, e allora parte la festa, ovviamente a base di birra scura del posto.

La Repubblica d’Irlanda, occorre dirlo, vive da sempre un paradosso calcistico quantomeno curioso: tutti o quasi, da queste parti, adorano il pallone e i boys in green, ovvero la Nazionale verde smeraldo, caduta in disgrazia ormai da anni. A livello di club, tuttavia, la squadra del cuore di ciascun tifoso è spesso una compagine d’oltremare, precisamente inglese. Liverpool e Manchester United sono quelle che godono di maggior seguito, ma quando i giocatori inglesi di queste squadre smettono le casacche del proprio club per indossare quella della loro Nazionale, allora tutto cambia, e gli amici diventano nemici.

Il sentimento antinglese, nelle sue forme più violente e tragiche, è scemato progressivamente a partire dagli accordi di Pasqua del 1998, che hanno messo fine alla stagione dei Troubles, ovvero la guerriglia tra protestanti e cattolici, che tanti lutti ha causato; eppure cova sempre sotto la cenere, ed è pronto ad riesplodere oggi, per fortuna soltanto in modo goliardico, a ogni sconfitta, sportiva e non, degli inglesi.

E allora, agli irlandesi, ai margini del calcio – la loro nazionale non disputa un Mondiale dal 2002 ed un Europeo dal 2016 – non resta che celebrare le disgrazie sportive altrui. Però, in tutta onestà, come festeggiano qui a Dublino è una cosa che vale la pena di essere raccontata.

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